Solo vera è l'estate
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Letto da:
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Rocco Tedeschi
A proposito di questo titolo
20 luglio 2001.
Mentre il movimento no-global sfila nelle strade di Genova contro il G8, tre romani intorno ai trent'anni, Enzo, Giacomo e Filippo, tutti e tre in qualche modo di sinistra e "contro er capitale", imboccano la famigerata Pontina diretti a Lavinio alla festa di compleanno di una cugina di Giacomo, per poi passare la notte ad Anzio, nella casa dei genitori di Enzo. Alla notizia alla radio degli scontri a Genova, protestano e discutono. Ma soprattutto cazzeggiano, i loro pensieri sempre un po' diversi da ciò che dicono.
Ciascuno per sé pensa a ciò che gli piace o non piace, al sesso e all'amore, con molte domande e un po' di gelosia e rancore per l'amica Biba, che tutti desiderano. Non sanno dov'è. Lo scopriranno solo il giorno dopo, quando lei li raggiungerà ad Anzio in fuga da Genova. Biba racconta. Dice della violenza della polizia, del sangue e della sua paura. Ma questo ormai è solo passato, anche per lei.
©2023 Francesco Pecoraro (P)2025 tracce s.r.l.sApproccia la generazione appena più grande della mia, trentenni durante il G8 di Genova del 2001, momento transizionale fortissimo che all’epoca non ci sembrava tale.
Lo fa con tantissima lucidità e in maniera non banale, rifugge dallo stereotipo del trentenne in crisi; anche se, a tirare le somme, di questo parla. Ma cerca - in maniera profonda e intelligente - le cause sia intime/personali che socioeconomiche/globali che stanno alla base di questo periodo di transizione. Riesce a collegare bene il momento politico italiano (per il quale il G8 rappresenta il culmine di un percorso durato decenni, di demolizione dei movimenti collettivi, politici e sociali, e del coinvolgimento attivo che esula dall’individualismo) con l’aggressività del capitalismo globale, che proprio in quegli anni intraprende i primordi della strada che arriva oggi a noi. Lo fa utilizzando consapevoli e illuminanti discorsi e dibattiti, informando e ragionando. Contrapponendo le tematiche global-capitaliste a individualità sempre più involute su se stesse, e alle città e contesto italiano che sono statici e si guardano l’ombelico, non riuscendo a reagire a quello che accade attorno.
Per sottolineare questa dicotomia, sceglie di rappresentare il G8 di Genova da lontano, esattamente come l’ho vissuto io che non ho partecipato direttamente; lo contrappone alle vite di questi ragazzi che stanno cercando una collocazione nella confusione del cambio di mentalità e di approccio economico, e collocando genialmente il tutto fra le palazzine di Roma e le villette cementificate del litorale, a rappresentare proprio la staticità e lo smarrimento del vecchio sistema, rispetto al mondo che cambia. Questi giovani adulti vogliono cambiare, ma sono giustamente smarriti e spaventati e si ancorano alle poche certezze di privilegi familiari acquisiti, alle cene di pesce lungomare, alle feste in cui si parla alla lontana dei conflitti innescati dalla globalizzazione, ai rapporti di amicizia risalenti a decenni prima, a case al mare stantie. C’è molta intelligenza nelle righe, nei discorsi, nell’approccio generale: cosa si richiedeva e si poteva pretendere, dai giovani del 2000, nei confronti dei cambiamenti epocali governati da poteri molto più grandi? Ed ecco che l’autore è abile nel dissimulare, attraverso il racconto di questa fase storica di transizione, anche ciò che accade nel mondo attuale: sono continui i rimandi sottili allo strapotere economico e comunicativo delle grandi aziende globali di oggi, persino i riferimenti alla politica di destra attuale, alla situazione Israelo-palestinese. E allo sbalordimento e senso di impotenza dei giovani, che diventano gradualmente consapevoli dell’impossibilità di cambiare le cose contro lo strapotere di chi governa davvero.
Dopo la prima sezione, il racconto stacca e passa a raccontare dei fatti di Genova attraverso un occhio diverso, quello dell’unica protagonista femminile. E mentre la descrizione dei fatti in sé funziona, è piena di ritmo e orrore e fisicità, l’autore sembra smarrirsi di brutto quando deve descrivere la psicologia di Biba. Ne viene fuori una donna fumosa, vista chiaramente con occhi maschili, poco riuscita. Qui l’autore ha fatto un passo più lungo della sua gamba e riesce a rovinare ampiamente il bel lavoro precedente. Peccato davvero, di questo arrovellamento sessual/sentimentale non si vedeva la necessità e non funziona.
Ecco che comprare un tono apologetico verso i maschi e un tono quasi autogiudicante e inutile in alcune pagine dedicate a Biba.
La sensazione che mi rimane alla fine è comunque di un testo da conservare, ricco di saggezza e intelligenza, ma allo stesso tempo malinconico e commovente.
Un bell’esempio innovativo e funzionante di commistione tra fiction e saggio attivista.
Molto interessante
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