• Nella mia ora di libertà. Storia di un impiegato, il podcast.

  • Dec 4 2023
  • Durata: 6 min
  • Podcast
Nella mia ora di libertà. Storia di un impiegato, il podcast. copertina

Nella mia ora di libertà. Storia di un impiegato, il podcast.

  • Riassunto

  • Nata, in un primo momento col titolo "Canzone dal carcere", costituisce il definitivo scioglimento narrativo, la conclusione dell’intera vicenda, riprendendo, musicalmente, i motivi di apertura, per ritornare, parafrasando un’espressione del brano precedente, dopo l’amore, alle carezze... dell’utopia che, sosteneva De André, assieme all’innocenza e alla solidarietà, è oggetto d’invidia da parte del potere nei confronti degli umili.

    Con la presa di coscienza di una nuova visione per la realizzazione del sogno, l’ex colletto bianco acquista una nuova consapevolezza, che lo porta a considerare con maggiori possibilità di successo l’azione collettiva piuttosto che quella individuale. L’incipit, “é cominciata un’ora prima e un’ora dopo era già finita”, sembra quasi la risposta a “La ricreazione è finita!”, l’espressione usata da De Gaulle allo sfumare del movimento. In un solo mese, quella fiammata libertaria, com’è noto, si spense. Ma durante questa “ricreazione”, quest’ora di libertà, questo brevissimo lasso di tempo in cui poter respirare la stessa aria dei secondini, il protagonista dell’album scopre la parola “collettivo” e la sua importanza. Il Sessantotto, “se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”, palesò, per certi versi, che lo Stato basato sui privilegi per far posto allo Stato di diritto non era ancora finito e lì, in quel luogo di costrizione, in cui a certi parametri sono tutti uguali, egli trova, quindi, il senso di appartenenza ad una comunità, in cui l’io diventa noi.

    Questa ed un sacco di altre cose l’ex impiegato ha imparato “in mezzo agli altri, vestiti uguali”: ad esempio, che non esistono poteri buoni, citando Evtušenko e il suo Stenka Razin, capocosacco protagonista de La centrale di Bratsk e della rivolta cosacca del 1670, una sorta di Masaniello russo, propugnatore di principi egualitari e dell’abolizione della schiavitù e dei privilegi.

    [...]

    Questa è, a grandi linee, la storia di Storia di un impiegato, con qualche piccolo dietro le quinte. Un album che, nonostante le critiche, ebbe il suo successo. La collaborazione tra i vari coautori, ancorché l’album fu seguito da una tournée, non proseguì ma, artisticamente l’album rappresentò una svolta, per De André. Proprio come il protagonista del disco, infatti, nel frattempo, il Faber nazionale abbandonerà la sua vena individualistica: “… non ne potevo più di fare il piccolo Leopardi chiuso in casa a farsi venire la gobba…”, dirà all’alba del tour che ne seguì due anni dopo.

    Per cui, di lì in avanti cercherà sempre altri autori e collaboratori: De Gregori, PFM, Bubola, Pagani, con il quale approderà alla svolta etnica, Piero Milesi, Ivano Fossati, per citarne alcuni.

    [...]

    Della sua romantica utopia resta, non ultimo, il seguente lucido pensiero: “Aspetterò domani, dopodomani e magari cent’anni ancora finché la signora Libertà e la signorina Anarchia verranno considerate dalla maggioranza dei miei simili come la migliore forma possibile di convivenza civile, non dimenticando che in Europa, ancora verso la metà del Settecento, le istituzioni repubblicane erano considerate utopia”.

    In conclusione, possa rimanere una duplice consapevolezza: quella che, a ripercorrerlo, basta comunque il libretto interno a cura di Dané, spesso citato in queste puntate, e quella del fatto, come scrisse lo stesso De André a Villon, uno dei suoi tanti punti di riferimento culturali ben precisi, in una lettera immaginaria, “… che quando si tratta di poeti è meglio lasciar parlare loro e non perdere troppo tempo nel tentativo di spiegarli”.

    -------------------------

    Podcast curato da Pietro Cesare ⁠⁠

    Riferimenti bibliografici: ⁠Clicca qui⁠.

    Mostra di più Mostra meno

Sintesi dell'editore

Nata, in un primo momento col titolo "Canzone dal carcere", costituisce il definitivo scioglimento narrativo, la conclusione dell’intera vicenda, riprendendo, musicalmente, i motivi di apertura, per ritornare, parafrasando un’espressione del brano precedente, dopo l’amore, alle carezze... dell’utopia che, sosteneva De André, assieme all’innocenza e alla solidarietà, è oggetto d’invidia da parte del potere nei confronti degli umili.

Con la presa di coscienza di una nuova visione per la realizzazione del sogno, l’ex colletto bianco acquista una nuova consapevolezza, che lo porta a considerare con maggiori possibilità di successo l’azione collettiva piuttosto che quella individuale. L’incipit, “é cominciata un’ora prima e un’ora dopo era già finita”, sembra quasi la risposta a “La ricreazione è finita!”, l’espressione usata da De Gaulle allo sfumare del movimento. In un solo mese, quella fiammata libertaria, com’è noto, si spense. Ma durante questa “ricreazione”, quest’ora di libertà, questo brevissimo lasso di tempo in cui poter respirare la stessa aria dei secondini, il protagonista dell’album scopre la parola “collettivo” e la sua importanza. Il Sessantotto, “se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato”, palesò, per certi versi, che lo Stato basato sui privilegi per far posto allo Stato di diritto non era ancora finito e lì, in quel luogo di costrizione, in cui a certi parametri sono tutti uguali, egli trova, quindi, il senso di appartenenza ad una comunità, in cui l’io diventa noi.

Questa ed un sacco di altre cose l’ex impiegato ha imparato “in mezzo agli altri, vestiti uguali”: ad esempio, che non esistono poteri buoni, citando Evtušenko e il suo Stenka Razin, capocosacco protagonista de La centrale di Bratsk e della rivolta cosacca del 1670, una sorta di Masaniello russo, propugnatore di principi egualitari e dell’abolizione della schiavitù e dei privilegi.

[...]

Questa è, a grandi linee, la storia di Storia di un impiegato, con qualche piccolo dietro le quinte. Un album che, nonostante le critiche, ebbe il suo successo. La collaborazione tra i vari coautori, ancorché l’album fu seguito da una tournée, non proseguì ma, artisticamente l’album rappresentò una svolta, per De André. Proprio come il protagonista del disco, infatti, nel frattempo, il Faber nazionale abbandonerà la sua vena individualistica: “… non ne potevo più di fare il piccolo Leopardi chiuso in casa a farsi venire la gobba…”, dirà all’alba del tour che ne seguì due anni dopo.

Per cui, di lì in avanti cercherà sempre altri autori e collaboratori: De Gregori, PFM, Bubola, Pagani, con il quale approderà alla svolta etnica, Piero Milesi, Ivano Fossati, per citarne alcuni.

[...]

Della sua romantica utopia resta, non ultimo, il seguente lucido pensiero: “Aspetterò domani, dopodomani e magari cent’anni ancora finché la signora Libertà e la signorina Anarchia verranno considerate dalla maggioranza dei miei simili come la migliore forma possibile di convivenza civile, non dimenticando che in Europa, ancora verso la metà del Settecento, le istituzioni repubblicane erano considerate utopia”.

In conclusione, possa rimanere una duplice consapevolezza: quella che, a ripercorrerlo, basta comunque il libretto interno a cura di Dané, spesso citato in queste puntate, e quella del fatto, come scrisse lo stesso De André a Villon, uno dei suoi tanti punti di riferimento culturali ben precisi, in una lettera immaginaria, “… che quando si tratta di poeti è meglio lasciar parlare loro e non perdere troppo tempo nel tentativo di spiegarli”.

-------------------------

Podcast curato da Pietro Cesare ⁠⁠

Riferimenti bibliografici: ⁠Clicca qui⁠.

Cosa pensano gli ascoltatori di Nella mia ora di libertà. Storia di un impiegato, il podcast.

Valutazione media degli utenti. Nota: solo i clienti che hanno ascoltato il titolo possono lasciare una recensione

Recensioni - seleziona qui sotto per cambiare la provenienza delle recensioni.