L’audiolibro di Corpi minori, l’ultimo romanzo di Jonathan Bazzi arrivato in libreria a inizio 2022 dopo il successo di Febbre, è disponibile su Audible letto da Pietro Turano. Autore e narratore sono stati ospiti allo stand Audible durante il Salone del libro di Torino per incontrare il pubblico e chiacchierare di coming out, relazioni e di come stiano cambiando i tempi. Bazzi e Turano hanno parlato inoltre dei temi centrali di Corpi Minori: il desiderio, le esperienze sentimentali e sessuali, ma anche l'abitare il luogo in cui si è nati e il sentirsi sempre stranieri o "alieni" anche a casa, tematiche care all'autore fin dal suo esordio con Febbre. La conversazione ha poi spaziato includendo anche questioni come l'attivismo e la diffusione di un dibattito più vivace in Italia riguardo alle tematiche LGBT+.

Dopo l’incontro, ne abbiamo approfittato per intervistarli e farci raccontare qualcosa di più su Corpi minori e sull’esperienza di dare voce a questo testo corale che parla, per dirla alla Sorrentino, delle “conseguenze dell’amore”.

Corpi minori

Jonathan, ci racconti un po’ di cosa parla Corpi minori?

Partiamo dal titolo, che contiene innanzitutto un significato letterale, quello del corpo e dei corpi dei protagonisti e degli altri personaggi del libro, che sono o si sentono ai margini, alla periferia della famiglia umana. Questo titolo però è arrivato a me imbattendomi in un'espressione astronomica: in astronomia, i corpi minori sono quei corpi celesti più piccoli di stelle e pianeti; asteroidi, meteore, meteoriti e comete che gravitano attorno agli astri maggiori, in una planimetria celeste di movimenti di corpi più piccoli attorno ai più grandi.
Questa scoperta mi ha fatto cominciare a lavorare sull’idea che il desiderio funzioni proprio così; quando si desidera qualcosa o qualcuno infatti, gli si gravita attorno sentendosi corpi minori alla ricerca di luce, sguardo e attenzioni di un corpo maggiore.

Se le cose funzionano davvero così, significa che il desiderio è intrinsecamente connesso a una dimensione gerarchica, con qualcuno che sta più in alto e qualcuno che sta più in basso. Dove c’è gerarchia, c’è anche un potenziale di potere, e dove c'è il potere è sempre possibile che si creino situazioni controverse come la manipolazione, l'abuso, l’inganno e la strumentalizzazione.

In Corpi minori tutto questo c’è. Attraverso le relazioni sentimentali, sessuali, di amicizia e convivenza che intrattiene il protagonista dai 20 anni fino alla soglia dei 30, il libro racconta che accanto alla dimensione più luminosa del desiderio, quella fiabesca che siamo più abituati a frequentare fin dall’infanzia, ci sono anche alcune azioni poco nobili, controverse e perfino scorrette che possiamo arrivare a compiere sulla spinta dei nostri desideri.

Il lato oscuro del desiderio quindi, che ci spinge a fare di tutto per ottenere qualcosa che desideriamo veramente.

Sì, credo che sia un tema interessante soprattutto quando si parla di identità marginali; la mentalità imposta dai social ci ha abituato a una narrazione nei confronti delle identità marginali piuttosto bidimensionale, e nel movimento progressista di ricerca di spazi di diritti e emancipazione, in qualche modo si fa fatica ad ammettere la tridimensionalità, diciamo pure l'umanità, di chi arriva dai margini.

A questo proposito io cito spesso Carmen Maria Machado, scrittrice americana di cui l’anno scorso è uscito in Italia l’ultimo romanzo, Nella casa dei tuoi sogni, un memoir che parla di una relazione lgbt abusiva, una situazione di violenza domestica tra due donne; la scrittrice dice: può sembrare sconvolgente ma è importante creare personaggi queer negativi, perché far vedere questi lati delle soggettività queer significa salvare l'umanità di queste persone. È una cosa molto importante, perché c’è una componente di rimosso nel modo in cui si parla del tema oggi, quando la verità è che chi arriva dai margini spesso si porta dietro una voglia di riscatto e di rivalsa, un sogno di centralità, che può portare ad accantonare o violare le leggi dell’etica e della rettitudine morale.

Il racconto di Febbre era personale, e in Corpi minori entrano di nuovo elementi fortemente legati alla tua esperienza. Riesci ad immaginare di scrivere puramente fiction?

L’ho già fatto nel formato breve di alcuni racconti, come quello che è uscito sul primo numero di K, la rivista letteraria de Linkiesta coordinata da Nadia Terranova, o il testo che ho scritto per un’antologia uscita l’anno scorso con Fandango curata da Jacopo Barison che si chiama Manifesto, e ancora l’esperimento di riscrittura del Decameron.
È una dimensione che mi interessa, e non escludo che i miei prossimi lavori anche più estesi possano andare in quella direzione.

Credo però che questa differenza tra fiction e non fiction sia oggi a volte un po’ estremizzata; la verità è che poi molti romanzi altro non sono che delle autobiografie, autofiction o memoir semplicemente con i nomi cambiati. Per me è strano far scattare questa distinzione come se si trattasse di altro da me, perché tutto si è sempre mischiato e contaminato in letteratura. Sicuramente fino ad ora mi sono pensato, più che como uno scrittore interessato a costruire trame e personaggi, come un autore stimolato dall’usare la possibilità offerta dalla scrittura di coltivare e onorare la contaminazione tra la realtà e l'immaginazione, una contaminazione che secondo me fa già parte della nostra esperienza, solo che non passa nei discorsi in qualche modo più ordinari, quotidiani. Per me finora la scrittura è stata questo.

Pietro (Turano, narratore di Corpi minori di Jonathan Bazzi), tu conoscevi Jonathan già da prima di quest’esperienza, ma durante l’incontro al SalTo hai detto che si è creata una sinergia, una risonanza diversa diventando il lettore di qualcosa che lui ha scritto. Vuoi raccontarci qualcosa a questo proposito?

Sono molto affezionato al rapporto con Jonathan, perché è come se noi due fossimo sempre un po’ connessi, proprio come dei corpi astrali, per utilizzare il territorio di riferimento di questo libro. Due astri che uniscono le loro traiettorie con un tempismo particolare e non casuale, i cui percorsi procedono in parallelo e quando poi si incontrano, per lavori come la lettura del suo libro, diventa una festa.
Questo è stato un caso particolare, perché il modo di lavorare e scrivere di Jonathan è quasi violento nella sua sincerità profonda, e quando leggi le sue parole non lo stai facendo nel silenzio della tua stanza solo con gli occhi e la mente, ma ad alta voce davanti a un microfono con e per le altre persone. Questo mi ha imposto un livello di onestà importante con me stesso e con la lettura, facendomi sentire ancora più connesso con il lavoro di Jonathan e con i futuri ascoltatori, nonostante il rapporto con loro non sia in sincro.

È interessante quello che dici, perché tu hai esperienza con i podcast ma forse non ne avevi ancora con la lettura di un audiolibro…

Avevo letto un libro ma si trattava di una cosa molto diversa, era un libro per ragazzi ispirato a una serie tv adolescenziale. Per me questa è stata come un’esperienza zero, tra l'altro difficile per un attore perché all'inizio sembra monca, la mancanza dell'espressività del corpo si fa sentire. Ma andando avanti con la lettura poi scopri tutte quelle sfumature della voce e ti rendi conto della bellezza di poter giocare con questo strumento in maniera assolutamente naturale, appropriandoti della dimensione intima della sala di registrazione, del buio, del rapporto con la persona che registra, che è poi il primo ascoltatore. Un’esperienza che ti permette di sperimentare nuove frontiere di libertà espressiva.

Mancanza del corpo quindi, ma anche una libertà completamente diversa e unica.

Sì, si tratta di qualcosa di completamente diverso rispetto allo stare su un palcoscenico. Può sembrare in perdita, ma solo perché conosciamo un’altra cosa, mentre in realtà è semplicemente differente.

Oggi ti incontriamo in veste di lettore, ma tu sei anche attore, curi un podcast, sei attivista Lgbtq+. Ci racconti un po’ in cosa consiste il tuo attivismo?

È qualcosa che fa parte di me da sempre direi; ho fatto coming out come uomo gay a 12 anni con i miei genitori e a 15 ero già un giovane attivista, lavoravo come volontario al Gay Center di Roma.
L’attivismo per me è famiglia, è casa, fa parte di me prima ancora di tutte le ambizioni professionali, per questo è un qualcosa che non ho mai voluto abbandonare e che cerco in tutti i modi di far incontrare continuamente con la mia identità professionale. Voglio che il mio lavoro sia connotato da un elemento politico, farne un veicolo per i miei temi, ma anche viceversa, promuovendo la cultura nell’attivismo.

Il dibattito sulla diversità si sta facendo più vivace in Italia, anche grazie al successo di nuovi formati di divulgazione come ad esempio i podcast; anche a te sembra che questi formati “più pop” stiano infondendo nuova linfa alla discussione su questi temi?

La superficialità è chiaramente un rischio, perché più parli di una cosa più questa esce fuori dalla nicchia e più esiste il pericolo di banalizzare. Si tratta di un fenomeno naturale e fisiologico, l’importante è averne consapevolezza e sapere che ci affacciamo a un'apertura che ha i suoi lati positivi ma ha anche i suoi contro, fa parte del gioco. Bisogna agire sempre pensando che non si conquista mai davvero qualcosa ma che occorre sempre un esercizio quotidiano: tutto ciò che diverge dalla norma precostituita, dagli standard di riferimento, diventa un esercizio continuo di pratica. Essere persone femministe o lgbt più inclusive non è una definizione teorica ma un insieme di attività quotidiane con moltissime declinazioni diverse nella realtà.

Se questa intervista ti ha incuriosito, ti invitiamo ad ascoltare Corpi minori e farci sapere che ne pensi della trama e dell’interpretazione!