Se pensi ai maggiori esperti di criminalità organizzata in Italia, molto probabilmente uno dei primi nomi che ti verrà in mente è quello di Roberto Saviano. È dal 2006, anno di pubblicazione del suo primo romanzo Gomorra, che lo scrittore e giornalista è diventato il simbolo della narrativa d’inchiesta e della volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla pericolosità della camorra e di tutte le mafie del mondo. Dalle faide tra famiglie camorriste al traffico internazionale di cocaina, dai giornalisti uccisi perché scomodi ai giudici eroi, Roberto Saviano ci ha raccontato, attraverso i suoi articoli, saggi e romanzi, il funzionamento dei clan malavitosi e le vite di chi, in luoghi e modi diversi, ha provato ad opporsi al loro dominio.

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Le mani sul mondo

Una di queste persone è il magistrato palermitano Giovanni Falcone. Tutti conoscono la sua storia, per ciò che ha fatto in vita - Falcone è stato una delle figure più importanti nella lotta alla mafia - ma anche per la sua tragica fine; Falcone fu infatti ucciso da Cosa Nostra insieme alla moglie e a tre uomini della scorta nell’attentato di Capaci, il 23 maggio 1992. 

Dopo aver dedicato alla figura di Giovanni Falcone il libro Solo è il coraggio, e aver raccontato il suo lavoro durante il Maxi processo a Cosa Nostra, Roberto Saviano torna ad onorare la memoria del giudice palermitano in una serie audio creata in esclusiva per Audible. In Chi chiamerò a difendermi, l’autore ripercorre la biografia di Falcone attraverso le parole di chi l’ha conosciuto e con la volontà di raccontare gli aspetti intimi dell’uomo.

Chi chiamerò a difendermi

Abbiamo incontrato Roberto Saviano presso lo stand di Audible al Salone del Libro 2023, in occasione della presentazione di Chi chiamerò a difendermi, e gli abbiamo fatto qualche domanda.

Intervista realizzata da Teresa Iannotta

Giovanni Falcone è stato una delle personalità più importanti e significative nella lotta alla mafia e su di lui è stato detto e scritto tantissimo. Il raccontare molto rischia però di svuotare un po’ di senso il mondo che c’è dietro a una persona. In che modo hai voluto raccontare Falcone in Chi chiamerò a difendermi?

Ho cercato di costruire un podcast in grado di scavare nella personalità di Falcone, evitando come campo minato la retorica. Stiamo parlando di una figura diventata leggendaria, epica, simbolica, e questo rischia in molti casi di farlo allontanare dalle dinamiche reali e storiche profonde, che invece hanno animato la sua vita.

In Chi chiamerò a difendermi cerco di portare alla luce gli aspetti inesplorati di Falcone. La sua ingenuità, la sua incredibile costanza… aspetti che probabilmente gli esperti conoscevano già, ma che spesso nel racconto che di lui viene fatto capita di tralasciare.  

Questo podcast vuole raccontare i momenti in cui Falcone si è sentito solo, o quando è andato incontro a delle bocciature, bocciature che erano già nei fatti ma che probabilmente la sua ingenuità - Falcone aveva una grande fiducia nella bontà umana e nella tecnica del suo lavoro - non gli aveva fatto vedere. 

Durante il tuo intervento al Salone hai parlato anche dell’amore per la vita di Falcone, della sua vitalità insopprimibile. Quindi nel podcast tu cerchi anche di raccontare un aspetto più personale di Falcone?

Sì, assolutamente, c’è un aspetto intimo, più che privato, legato a ciò che lui ha potuto provare in determinate situazioni, a ciò che chi era intorno a lui ha provato, in una dinamica spesso inimmaginabile da chi oggi pone lo sguardo su quegli anni. 

Stiamo parlando di anni in cui la maggior parte delle persone sosteneva che la mafia non esistesse o che fosse solamente una declinazione culturale. Falcone ha invece dimostrato con i fatti, con le sentenze, che la mafia non solo esistesse, ma che fosse l’avanguardia economica del paese. Il prezzo da lui pagato per questo non è stato solo quello della vita, ma anche quello della delegittimazione, e questo ha molto spazio nel podcast.

Nel racconto si alternano le voci di chi ha conosciuto Falcone ed è stato testimone/protagonista della sua vita. Puoi parlarci di queste testimonianze?

La testimonianza è fondamentale perché spinge immediatamente l’ascoltatrice o l’ascoltatore dentro quell’epoca. Nel podcast ci sono le testimonianze di Claudio Martelli e di Maria Falcone, la testimonianza del fotografo che per primo è arrivato sul luogo della strage di Capaci, quella di Di Lello e Guarnotta, colleghi del pool antimafia, e quella di Peppino Ayala, il pubblico ministero del Maxiprocesso.

La testimonianza diventa fondamentale nel podcast, con la voce dei testimoni, perché permette un’immediata dimensione altra. La voce del narratore in questo caso diventa cornice, mentre la testimonianza ti da la sensazione di chi direttamente era a contatto con il protagonista, Falcone, e con un’epoca. Martelli, ad esempio, fu il ministro che diede a Falcone un ruolo, e nel podcast ti racconta quelle ore. 

Noi potremmo benissimo leggere le dichiarazioni di queste persone, ma fare ascoltare direttamente la viva voce del testimone, o la registrazione dell’audio della polizia che da informazione dell’attentato, significa poter concedere, dare all'ascoltatore un accesso emozionale in più, e anche una prova, una bibliografia in qualche modo, a sostegno del tuo racconto.

Come si relazionano il tuo libro su Falcone, Solo è il coraggio, e questo podcast? Li vedi come due prodotti che dialogano tra loro?

Si, dialogano fin dalle origini, nel senso che sono due creazioni profondamente diverse - un romanzo su Giovanni Falcone e un podcast su Giovanni Falcone - che si intersecano ma non si sovrappongono mai.

Scrivere un podcast è veramente molto differente dallo scrivere un romanzo. Il podcast per esempio ha un ruolo anche di introduzione che il libro non ha, mentre il libro ha una dimensione più lunga, e quindi in Solo è il coraggio sono protagonisti anche gli amici di Falcone, o Francesca Morvillo; il podcast invece è concentrato su Falcone soprattutto, che è il protagonista di ogni singola puntata. 

Il dialogo che avviene tra questi due strumenti è che si completano: ci sono degli aspetti nel podcast veramente nuovi rispetto al libro, e il libro contiene al suo interno storie che nel podcast non ci sono. 

Il metodo di preparazione del podcast e del libro è abbastanza simile, benché la scrittura sia differente, e cioè quello di narrare, non informare. Certo che posso comunicare l’informazione, ma dentro la volontà - spero di esserci riuscito - di far stare la lettrice o il lettore accanto a Falcone. In ufficio, nell’asfissia dell’auto blindata, o di far percepire la sua aspirazione che prima o poi il lavorare bene sia compensato, mentre invece no, il lavorare bene non è compensato, tutt’altro, ti porta semmai alla persecuzione.

Una persecuzione, quella nei confronti di Falcone, che avvenne per molte ragioni, che non sono solo ragioni mafiose; Falcone è stato soprattutto ostracizzato per ragioni di carriera, invidia, diffidenza. La mafia c’entra, certo, ma chi l’ha ostacolato nel percorso della sua carriera non è stata Cosa Nostra, ma dei colleghi che lo detestavano per la visibilità che aveva. E questo è importantissimo per me raccontarlo oggi, dopo tanti anni.

Abbiamo ascoltato Le mani sul mondo, poi Maxi, e ora Chi chiamerò a difendermi. Credi che il podcast possa aiutare ad avvicinarsi a tematiche come per esempio la lotta alla mafia, in una maniera un po’ più intima, agile rispetto ad un libro?

Sì, credo che il podcast sia uno strumento prezioso per entrare dentro le storie. Ascoltare è un atto passivo rispetto al leggere, che è un atto attivo, l’ultimo atto attivo, ma è un atto che avvicina immediatamente alle storie. 

Dico spesso, perché è un’immagine che mi convince molto, che il podcast avvicina al rito primo dell’essere umano: ascoltare storie intorno a un fuoco. Riscaldarsi e, nel frattempo, in attesa che arrivi il sonno, o nella sicurezza del fuoco che scaccia la belva, ci si racconta, e quel racconto crea comunità. In quelle storie ci si identifica, anche nell’orrore, nella paura, nello slancio e desiderio dell’amore. 

Bene, quel rito di raccontarsi intorno al fuoco, il podcast lo raccoglie, lo rielabora e lo rilancia, tanto che io quando registro ho proprio l'impressione di sussurrare all’orecchio di chi mi sta ascoltando. Questo formato ti permette - se il podcast è figo - di accedere a una storia direttamente, con una chiave insolita e molto interna al racconto.