Dell’Impero Romano si è parlato e si continua a parlare ancora oggi moltissimo; al mito di Roma sono stati dedicati romanzi, saggi, documentari, film, esposizioni di ogni genere. Eppure, sembrano emergere sempre dettagli e curiosità nuove legate a questo periodo della nostra storia così significativo e che tanto definisce l’identità italiana. E di identità italiana il giornalista e scrittore Aldo Cazzullo ne sa qualcosa, visto che ha dedicato alla nostra storia e cultura oltre 25 libri. La sua ultima opera, Quando eravamo i padroni del mondo, uscita nelle librerie a fine settembre 2023 e poco dopo su Audible, si concentra appunto su Roma Antica.

Quando eravamo i padroni del mondo

Dalla fondazione mitica di Roma, all’età repubblicana con i suoi eroi ed eroine, fino alle storie straordinarie di Giulio Cesare, Ottaviano Augusto e Costantino, passando per l’origine del “simbolo dei simboli”: l’aquila. Ci siamo fatti raccontare da Aldo Cazzullo alcune curiosità sul libro. 

L’Impero Romano sembra essere molto di moda di questi tempi. Nelle ultime settimane infatti impazzano su TikTok i video in cui decine di uomini dicono di trovarsi a pensare spesso all’Impero romano. Al di là del trend, perché secondo te quell’epoca storica è ancora al centro dei nostri pensieri?


Per quale motivo, tra i tanti imperi e regni, tra le molte civiltà che si sono succedute sulla terra, proprio Roma continua a influenzare il linguaggio e i pensieri del nostro Secolo, a dare parole e simboli alla modernità, e ispira ancora le forme che assumono il potere e l’arte, il business e la comunicazione?

La spiegazione non è solo nel fascino; è nella continuità: l’impero romano non è mai caduto, perché l’idea di Roma ha viaggiato immortale lungo la storia, grazie non solo a sovrani che si sono sentiti la reincarnazione dell’imperatore, ma a popoli che si sono pensati come gli eredi degli antichi romani.

Si dice che siano molto di più gli uomini che le donne ad essere “ossessionati” dagli antichi romani. È colpa de Il Gladiatore? O c’entra il fatto che la società romana imperiale fu fortemente dominata dagli uomini?

Io non credo che sia vero che gli uomini pensano all’Impero romano e le donne no. Innanzitutto, le donne sono molto appassionate di storia, sono quelle che leggono i libri, che vanno a teatro, che scelgono i film da andare a vedere al cinema e le serie tv; ci sono molte serie tv sull’antica Roma, ad esempio adesso andrà in onda Those about to die, quelli che vanno a morire, una serie tv sui gladiatori con Gabriella Pession come matrona romana e il grande Anthony Hopkins nel ruolo dell’imperatore Vespasiano. 

Credo che gli uomini siano ossessionati dall’Impero romano perché Roma è sinonimo di forza, il suo simbolo è l’aquila, il simbolo di tutti gli imperi. Tutti gli imperatori della storia si sono sentiti il nuovo Cesare, e tutti i rivoluzionari della storia si sono sentiti il nuovo Spartaco. Sono romane le parole del potere: impero, dittatore, ma anche senato e repubblica, sono romane le parole dell’arte militare, arma, armata, esercito, soldato, generale; sono romane anche le parole della religione, compreso il pontefice. 

Quindi, essendo Roma luogo per eccellenza del potere, ma anche della rivolta contro il potere, è chiaro che interessi agli uomini, come anche il mito del Colosseo, delle arene, dei gladiatori, dei combattimenti, del sangue, della violenza e della guerra. Anche se è importante far notare che il legionario romano non era un guerriero, ma un soldato: il suo scopo non era una morte gloriosa, ma una pensione tranquilla grazie alle terre e all’oro sottratte al nemico, e il generale romano non era quello che mandava le truppe all’assalto, “vincere o morire”, ma era un organizzatore, uno stratega, uno che faceva arrivare i rinforzi, che costruiva strade, macchine d’assedio, fortificazioni. 

Qual era il ruolo della donna nell’impero romano? Ci sono state figure femminili di grande potere e influenza?


Le donne entrano nella storia con l’antica Roma. Nell’antica Roma le donne avevano più libertà di qualsiasi altra civiltà antica, più che in Grecia, dove dovevano stare a casa. A Roma le donne uscivano, andavano a teatro, alle terme, frequentavano i banchetti; potevano ereditare dal padre, potevano comprare e vendere, fare imprese ed essere autonome sul piano finanziario: diritti che sono stati riconosciuti alle nostre nonne e bisnonne solo nel 1919. Le donne erano anche libere sessualmente, ed occuparono il foro romano per protesta quando Augusto introdusse il delitto d’onore, la regola iniqua per cui chi trovava la moglie, la sorella o la figlia – Augusto era gelosissimo della figlia – con un uomo e la uccideva non veniva punito. Quell’occupazione per protesta fu il primo corteo femminista della storia.

Nella Roma antica ci furono grandi personaggi femminili: Giulia, figlia di Augusto, Livia, la moglie di Augusto, Cleopatra, Messalina. E tante altre.

Anche l’aquila imperiale, di cui parli nel libro, è associata alla virilità e alla mascolinità. Raccontaci la storia di questo simbolo, emblema di tutti i grandi imperi del passato.


Ci sono varie versioni sull’origine dell’aquila. Una risale all’epoca dei sette re di Roma, in particolare al periodo del quinto, quello che chiamiamo Tarquinio Prisco nell’elenco che impariamo a scuola. Lucio Tarquinio era forse di origine greca, ma aveva sposato  un’etrusca di Tarquinia, Tanaquilla. Arrivò a Roma su un cocchio, accolto da un’aquila che gli strappò il cappello, lo portò in cielo, e lo lasciò cadere proprio sulla sua testa.

Tanaquilla, che da etrusca sapeva interpretare i segni divini, assicuro ai romani che il marito avrebbe fatto grandi cose. Anco Marzio ne fu molto impressionato. Divenne suo amico, e lo adottò come figlio. Da qui la successione.

Ma un ingresso in città così leggendario fu probabilmente il modo escogitato dai romani per nascondere la conquista etrusca.

La versione più affascinante sull’origine dell’aquila ce la dà il nostro poeta più grande. Dante incontra Giustiniano in Paradiso, nel cielo di Mercurio, tra gli spiriti che inseguirono onore e gloria, e per questo non sono tra i più vicini a Dio; ma la loro beatitudine è tale che non possono concepire nessun pensiero cattivo.

Il Giustiniano di Dante compie un vertiginoso excursus, e riassume in pochi incalzanti versi la vicenda dell’aquila, simbolo di Roma. Duecento anni prima dell’avvento di Giustiniano, Costantino l’aveva spostata verso Oriente, da Roma a Bisanzio. Ma in origine l’aquila aveva fatto – con Enea – il percorso opposto, da Oriente verso Occidente, da Troia alle sponde del Tirreno. Lì per almeno trecento anni aveva soggiornato ad Albalonga: il famoso periodo tra lo sbarco di Enea e la fondazione di Roma.

Nell’era di Cesare l’aquila passa dal Varo al Reno, dall’Isere alla Loira, dalla Senna al Rodano…E qui Dante si conferma grande appassionato di Giulio Cesare; non a caso nell’Inferno ha collocato i suoi assassini Bruto e Cassio nelle bocche di Lucifero. E ancora, nel racconto di Giustiniano, Cesare bracca Pompeo e i suoi in Spagna, a Durazzo, a Farsalo; poi grazie a lui l’aquila rivede Troia, in particolare il sepolcro di Ettore; quindi riparte per l’Egitto, scende come una folgore su Giuba re di Mauritania, poi di nuovo in Occidente, ovunque senta la tromba dei nemici pompeiani. Con Ottaviano l’aquila giunse fino al mar Rosso; con Tiberio fu vendicato il peccato originale, grazie alla crocifissione di Gesù che riscattò l’umanità; con Tito la morte di Gesù fu vendicata con la distruzione del tempio di Gerusalemme. E quando la violenza dei longobardi si rivolse contro la Santa Chiesa, Carlo Magno la protesse sotto le ali dell’aquila, che divenne il simbolo del nuovo Sacro Romano Impero. 

Dante vede una forte continuità tra l’impero romano e il Sacro Romano Impero; tanto da condannare sia i ghibellini, che si appropriano di quel simbolo, l’aquila, che dovrebbe unificare tutti gli uomini, sia i guelfi, che invece lo rifiutano. In ogni caso l’aquila è nello stemma di tutti gli imperi e i regni che hanno dichiarato di discendere dall’Impero Romano in modo diretto, come l’impero asburgico o il regno prussiano. L’aquila è ancora oggi lo stemma della Germania, e si trova anche nello stemma della Russia, visto che Ivan il Grande, sposando Sofia Paleologa erede al trono di Bisanzio dopo la sua caduta del 1453, fece di Mosca la “terza Roma”.

Ma l’aquila è anche nello stemma di molte città e province italiane, a cominciare da quella storicamente più fedele all’imperatore, Pisa. E anche città che all’imperatore si sono fieramente contrapposte fanno a gara a inserire l’aquila nel loro stemma: nel 1395 Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano, ottiene il permesso di collocarla accanto al tradizionale biscione; e negli stessi anni fa abbattere la vecchia cattedrale per innalzare un Duomo mai visto prima…

Nel libro racconti di come i romani abbiano affrontato questioni che ancora oggi sono cruciali per la nostra quotidianità, come per esempio il razzismo. Quali lezioni credi che noi italiani non abbiamo imparato da loro?


Virgilio fa risalire la fondazione di Roma al troiano Enea – fuggito dalla sua patria in fiamme con il padre Anchise in braccio – che ha affrontato il mare e un naufragio e, alla fine, da eroe dotato di pietas e forza morale, fonda una nuova città. Enea era un immigrato. E Virgilio era straniero: era nato a Mantova, che a quel tempo era ancora Gallia. L’atteggiamento dei Romani era di integrazione e rispetto, chi veniva da fuori poteva diventare cittadino romano se dimostrava di poter lavorare e contribuire alla società.

Tu hai dedicato oltre venticinque libri alla storia e all'identità italiana; ma qual è il periodo storico che in assoluto ti affascina di più o che vorresti approfondire ulteriormente?


Molti periodi storici mi affascinano. In questo momento ovviamente vorrei essere un soldato di Cesare. Però, ad esempio, anche il periodo della Rivoluzione Francese dev’essere stato eccezionale. Anche se una vita umana non basta mai a rendersi conto dove si è, pensate alla Certosa di Parma di Stendhal in cui Fabrice del Dongo si trova nella battaglia che ha cambiato la storia a Waterloo e non si rende nemmeno conto di dov’è.

Sicuramente sarebbe stato bello vivere negli anni Sessanta. Io sono nato nel ’66, gli anni Sessanta me li sono persi. Ecco, credo siano stati un momento splendido nella storia dell’uomo e dell’italiano in particolare.  

Su Audible ci sono nove audiolibri scritti da te. Che rapporto hai con questo formato? Ascolti audiolibri e, se sì, quali sono i generi che ti appassionano di più?


Non dimenticherò mai un giorno di più di vent’anni fa: ero in Liguria a Dolceacqua, stava piovendo, stavo guidando, ho messo l’audiolibro di La malora di Beppe Fenoglio e mi ricordo questo inizio folgorante come uno sparo: “Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra.” Quello è stato un impatto fortissimo e lì mi sono appassionato agli audiolibri, anche se non li ascolto tanto quanto vorrei perché il tempo del lavoro è sempre schiacciante su tutto. Ma è un bellissimo mezzo e sono felice che ci siano libri miei su Audible, mi piace pensare che possano accendere una curiosità o dare una gioia intellettuale a molte persone.

Sei stato anche autore di una serie audio sulla figura di Dante Alighieri. Com’è stata l’esperienza del podcast? Sei anche un ascoltatore di podcast?


Fare i podcast è faticoso, è molto interessante, ma non è facile. Comunque mi è piaciuto molto realizzarne uno, anche perché Dante mi ha veramente appassionato tantissimo. Ho riscoperto una passione del liceo. Per quanto riguarda l’ascolto, conto di migliorare e dedicarvi più tempo.

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